In torrefazione a Villasanta, alla corte di Sua Maestà il Caffè

Tutti i segreti del caffè nel cuore della Brianza, a quattro passi dal Civico 12. Non tutti sanno che a Villasanta, in via Benvenuto Cellini, ha sede la torrefazione Her Majesty The Coffee, un nome che, tradotto, suona come “Sua maestà il Caffè”. Il 5 febbraio la classe IA dell’Istituto Olivetti l’ha visitata, così da approfondire le fasi di lavorazione del piccolo chicco dal quale nasce la “miracolosa” bevanda che ci sveglia al mattino. La pianta del caffè appartiene alla famiglia delle Rubiaceae e fiorisce nel periodo delle piogge.

Il frutto di questa pianta è detto drupa, quando si fa di colore rosso è maturo mentre quando è verde è acerbo. La struttura della drupa è a strati e procedendo dall’esterno all’interno troviamo buccia, polpa, pergamino, la pellicola e in fine il chicco vero e proprio. Esistono ottanta varietà diverse di caffè, ma le due più utilizzate sono robusta e arabica. La varietà robusta è più resistente agli sbalzi di temperatura e viene coltivata in Africa occidentale e  in Asia, ha un solco dritto. La varietà arabica, dal solco a “s”, non è resistente agli sbalzi di temperatura ed è coltivata in America latina e Africa orientale. Alla torrefazione di Villasanta fondata da Paolo Scimone vengono trattate tre tipologie differenti di caffè: arabica Etiopia, arabica Brasile e arabica Colombia. Il controllo qualità del prodotto lavorato avviene testando contemporaneamente almeno tre tazze. Seguendo queste fasi: macinazione del chicco, scarto della prima macinatura per evitare possibili imperfezioni, infusione in acqua calda per almeno quattro minuti e asportazione della pellicola formatasi in superficie.

Dopo 14/15 minuti è possibile testare il prodotto senza mescolarlo. «Ho apprezzato molto il caffè brasiliano – sottolinea Noemi Perticaro- e mi ha colpito l’ultimo modello di macchina per il caffè che ho visto presso il bar della torrefazione». Per Martina Leonini «la qualità migliore è il caffè indiano, lo riassaggerei volentieri». Elisabetta Pasina, invece, ha «apprezzato molto di più il caffè etiope». Quanto a Nicolò Mastromatteo, non si immaginava che «un’azienda con cosi piccoli spazi, potesse trattare varietà diverse avendo a disposizione macchinari così all’avanguardia».
A cura di Eloisa Galante, Michelle Arienti, Giulia Barelli, Nicola Bistrot, Sara Sortino