Al carcere di Bollate vince il lavoro e perde il pregiudizio

Il lavoro in carcere come occasione di riscatto. Un percorso che già da qualche anno è realtà alla casa di reclusione di Bollate, un centro di detenzione all’avanguardia che a gennaio scorso è stato visitato dagli studenti di VD, VE e VH che frequentano l’ora di religione a conclusione del modulo “Giustizia e Misericordia”, nell’ambito del progetto “Educazione alla legalità” dell’Olivetti. La Casa di reclusione di Bollate nasce nel 2000: è un carcere di eccellenza che punta sull’inclusione dei detenuti. Gli studenti sono stati accompagnati all’interno della struttura da Luca, un detenuto che ha mostrato loro tutti i settori del carcere. Due quelli principali: da una parte le donne, dall’altra gli uomini. Al loro interno valgono ulteriori criteri di suddivisione in base all’etnia, alla lingua, al tipo di reato commesso, all’età.

I detenuti si impegnano a mantenersi: è come se pagassero la “retta” del carcere che vale intorno ai 120 euro al giorno svolgendo attività lavorative, tra pulizia e riordino della struttura. Alla faccia del noto pregiudizio secondo il quale i detenuti vivono sulle spalle della società. Nel carcere è presente anche una scuderia dove i detenuti meritevoli, dopo aver affrontato un percorso educativo di reinserimento, possono entrare a contatto con i cavalli, in genere confiscati perché maltrattati o di proprietà di persone che hanno commesso reati. Le varie attività lavorative svolte dai detenuti spaziano dai call center alle attività di magazzino, imballaggio merci, costruzione e riparazione macchinette del caffè e riordino scorte cibo. Oltre a queste opzioni lavorative, il carcere offre, al suo interno,  la possibilità di iniziare o continuare gli studi. I detenuti che frequentano l’alberghiero hanno aperto il ristorante “In Galera” (nella foto), totalmente gestito con la collaborazione dei professori di indirizzo. Oltre ad aver studiato materie di indirizzo alberghiero, chi lavora presso il ristorante ha frequentato anche corsi di cucina coordinati dal noto chef Gualtiero Marchesi.

Al termine della visita gli alunni sono stati raggiunti da Giancarlo, un compagno di Luca. I due hanno raccontato le proprie esperienze con il percorso di rieducazione. I  ragazzi hanno avuto occasione di fare domande, Luca e Giancarlo hanno lasciato loro un compito in tre punti. Uno: riflettere sempre sulle cose che viviamo per poterle giudicare. Due: non chiudere mai le porte al rapporto con gli adulti. Tre: studiare, perché lo studio è il primo modo di conoscere davvero sé stessi e il proprio valore.

Quest’esperienza è stata giudicata da tutti i ragazzi molto educativa, perché ha indotto a riflettere sul comportamento che si assume nei confronti del “diverso”.  Spesso giudichiamo senza conoscere veramente quello di cui parliamo, ci basiamo sul sentito dire o sugli stereotipi che ci passa la società. Incontrare una realtà è invece un metodo interessante, perché scopri che anche chi ha sbagliato può rialzarsi e cambiare, avere tanto da insegnare anche a chi il carcere non l’ha mai visto.

Nella Casa di reclusione di Bollate c’è una recidiva del 17% (su cento che vengono messi in libertà solo 17 ritornano a delinquere), mentre nelle altre strutture italiane la recidiva è del 65%. Numeri che restituiscono meglio di qualsiasi parola il senso dell’efficacia di un percorso di rieducazione.
A cura di Martina Duranti