Mulino Colombo

Macina

di Berto Nicolo’, Alice Doni

In data 24 ottobre 2019, io e i miei compagni di classe, accompagnati dalla professoressa Nolè, ci siamo recati presso il Mulino Colombo, un mulino che si trova a pochi passi dalla nostra scuola accanto al fiume Lambro ed è l’unico ad essere ancora integro e completo. Il mulino è chiamato “Colombo” dal cognome della famiglia a cui apparteneva la struttura che nel 1987 hanno donato al comune di Monza. Siamo stati introdotti alla conoscenza delle funzioni di questo mulino grazie alla guida della signora Fumagalli la quale ci ha spiegato che fra il 1800 e il 1900 il mulino aveva come funzione quella di produrre oli e non solo infatti il seme di lino, impiegato per la lavorazione al fine di ottenere olio, veniva trasformato in farina. I semi venivano portati al piano superiore, prima passati nella tramoggia e poi versati attraverso una botola direttamente nel trituratore al piano terra. Il trituratore a due cilindri era usato per il seme di lino che, ridotto a farina, cadeva per terra; da li veniva raccolto con la pala e portato direttamente nel negozio o sistemato in sacchi. Se dalla farina di lino si voleva ricavare l’olio si portava il materiale nel forno per scaldarlo e poi nella pressa. La farina di lino venduta era impiegata nell’utilizzo di cataplasmi per curare malattie respiratorie come tosse, catarro, raucedine e altre affezioni respiratorie. La procedura era semplice: si infilava la farina in un sacchetto di cotone, posto in un colino sopra ad una pentola contenente acqua bollente, si scaldava e poi si applicava sul petto del malato. Al centro della stanza si trova la macina:  enorme ruota di pietra detta “molazza” e porta incisa nella parete interna la data del 1871. Essa ruotava con la forza dell’acqua perché collegata alla ruota esterna che pescava nel Lambro. All’interno del mulino sotto il pavimento c’è una grande ruota interna; il vano, ora coperto da un vetro, riguardava un’attività precedente legata alla follatura e alla tintura di pelle di lana. Sempre in questa stanza c’è un torchio: grossa macchina di ghisa. Ha nel centro un vano cilindrico dove viene messo l’impasto a strati inframezzato da dischi di ghisa; dopo aver disposto una decina di strati di semi, il torchio entra in funzione. La pressione per far lavorare il torchio era fornita dalla pompa ad acqua. Il risultato di questa pressione, cioè l’olio, usciva dalle fessure del cilindro centrale del torchio e si raccoglieva sul fondo in corrispondenza di un ribasso del pavimento che si trova dietro al torchio e poi raccolto in una latta. L’olio così ottenuto veniva versato in un grosso bidone e portato alla raffineria per uso alimentare o al cliente se veniva usato per l’industria (vernici, stucco). Le scorie venivano vendute ai contadini che li adoperavano come mangime per gli animali; essi avevano anche una funzione medicamentosa. Oggi il mulino viene utilizzato come sede di mostre tanto è vero che è detto “Museo etnologico di Monza e Brianza”. Al termine della nostra uscita didattica siamo rientrati a scuola.